Una delle principali domande che vengono dalla coppia che si avvia al percorso dell’ovodonazione riguarda l’aspetto della accettazione di questo da parte dell’utero della donna ricevente.
L’embrione è normalmente frutto dell’ovocita e dello spermatozoo del partner quindi, per il 50% di un soggetto estraneo all’organismo femminile.
L’accettazione di questo embrione supera di norma il vaglio dell’apparato difensivo immunitario femminile per poi essere “tollerato” per tutto il periodo della gravidanza.
Ma cosa succede quando anche l’ovocita è esterno, quindi tutto l’embrione è “estraneo” rispetto l’organismo, l’utero, della ricevente?
Le difese immunitarie che riconoscono tutto quello che è esterno, organi, tessuti, fino a batteri e virus e che ci difende dalle “aggressioni” sono invece impostate per accettare l’arrivo e quindi l’impianto dell’embrione in cavità uterina. Questo avviene nella stragrande maggioranza dei casi , ma non in quelle donne che manifestano ripetuti aborti da cause immunologiche.
Il meccanismo dell’impianto è costituito da tre fasi: contatto, adesione ed invasione. È strutturato su una serie di segnali che la cavità uterina, più precisamente la mucosa di rivestimento interna detta endometrio, si scambia con l’embrione stesso. Se questo dialogo, frutto di moltissime proteine, dette mediatori biochimici dell’impianto, va a buon fine, ci sarà la gravidanza.
Talvolta, circa nel 20% dei casi, questo processo non va a compimento, per la mancanza di condizioni ideali che causano la ritardata apertura o la precoce chiusura della cosiddetta “finestra d’impianto”. Questo è un periodo, della durata di qualche giorno, all’interno del quale un embrione può impiantarsi.
La finestra d’impianto è regolata principalmente dalla produzione di progesterone da parte del corpo luteo dell’ovaio dove è avvenuta l’ovulazione .
Il progesterone fa si che nelle secrezioni presenti in cavità uterina ci siano quei mediatori biochimici che danno il via libera al complesso meccanismo dell’accettazione dell’embrione, quindi dell’impianto.
Per valutare la situazione dell’utero della ricevente ci sono alcuni test, ERA test, che valutano la presenza di queste sostanze, la presenza di batteri che possono ostacolare l’impianto causando uno stato infiammatorio, o la presenza di una normale flora non patogena presente in numerosi ambienti del nostro organismo.
Questo esame viene effettuato riproducendo un ciclo con le stesse condizioni nelle quali avviene l’impianto, effettuando invece del transfer un prelievo dell’endometrio.
La risposta ci dirà se quel giorno corrisponde effettivamente alla apertura della finestra d’impianto o se questa sia spostata e di quante ore.
Il successo dell’ovodonazione dipende da molti fattori, dalle condizioni della ricevente, ma in primo luogo dalla qualità del seme e dell’ovocita donato.
Anche la scelta se utilizzare ovociti congelati o freschi può determinare il successo o l’insuccesso della tecnica.
Il congelamento ovocitario provoca dei cambiamenti in alcune strutture interne, in particolare su una zona dove si dispongono i cromosomi detta “fuso mitotico”.
Nella maggior parte dei casi questo danneggiamento non comporta particolari problemi per uno spermatozoo di buona qualità, ma in presenza di forti deficit seminali, ci può essere l’indicazione ad utilizzare ovociti freschi, quindi più capaci di “riparare” e superare alterazioni strutturali degli spermatozoi.
Avere diverse possibilità terapeutiche consente di superare quelle situazioni più complesse dove, nonostante il trasferimento di embrioni di buona qualità, ci sia stato un mancato impianto.
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